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  RICCARDO BIANCHI

 

 

Il volto e il caos 
Note sulla serie "OGM"
di Simone Chiorri

Trentatre anni, perugino di nascita, autodidatta, fuori dalle correnti modaiole e dalle strategie galleristiche, Simone Chiorri è
cresciuto a contatto con i morbidi cromatismi di Pietro di Cosimo Vannucci, con le allusive, profonde trasparenze del Pintoricchio, con le violente rotture telluriche che animano i creti riarsi di Alberto Burri. E certo li tiene, questi inconsci imprestiti, come una preesitenza genetica, un sotterraneo richiamo coloristico e ritmico: tuttavia nel suo astrattismo non è possibile rintracciare maestri o modelli: al massimo vi si può leggere un legame ora concettuale ora d’emozione, con l’Informale, con l’Action Painting, un’affinità con Jackson Pollock, Franz Kline e Jean-Michel Basquiat.Ma il più è farina del suo sacco, frutto di un’ispirazione che scaturisce dalla riflessione sulla storia, il tempo, la memoria, sugli eventi e i suoi attori. Sugli oggetti e il loro “diario” come è successo nella serie“Windows”quando, improvvisamente stregato dall’idea di finestra, dalla sua forma, dal suo vuoto-pieno, dal tema cornice-contesto che la caratteriszza, “mi sono messo”, ha raccontato lui stesso, alla ricerca di vecchie porte e finestre, che ho comprato in giro per l’Umbria; su queste sono poi intervenuto con la pittura.

 Mi piaceva l’idea di dare nuova vita a oggetti vissuti e ricchi di storia”.
Ora, toccata da ciò che accade nella scienza e nella tecnologia, almeno così come ci sono sciorinate quotidianamente dai media, la sua attenzione si fissa sulle persone.

Sulla loro identità sfidata costantemente dall’artificio, dall’ingegneria genetica, dalla deriva della replicabilità. Chi siamo noi, sembra chiedersi Chiorri, nella recentissima serie “OGM–Organismi Geneticamente Modificati”. Fantasmi, attori virtuali di una realtà sempre più indefinita, sfuggente, debordante. Volti ridotti a maschere, scomposti, sovrapposti, interposti, decomposti: su di essi e oltre essi scorrono e si intrecciano i tanti piani della narrazione pittorica di Chiorri: le facce sfumano, quasi si ritraggono in una materia spumosa, nell’incertezza segnica e nella sorvegliata confusione dei colori un occhio sembra spiare, uno sguardo fissa inebetito o attonito ovvero si frammenta, un sorriso interroga un contesto caotico. A poco a poco primo piano e sfondo s’invertono di posizione, il tratto figurativo sprofonda, con moto vorticoso quella “materia spumosa” diventa protagonista, si spande come un blob incontenibile e inafferrabile nello spazio della rappresentazione, disegna un irritante puzzle cognitivo senza soluzione. È come se l’inconscio venisse alla fine a galla con i suoi mostri e i suoi ideogrammi inafferrabili, come se una mutazione genetica ne avesse rimosso i freni, gli avesse dato “voce” intelligibile. Il positivolascia il posto al negativo, l’irrazionale alla ragione, il riconoscibile all’ignoto: una traiettoria “à rebours”, seguita, come dice lo stesso artista, in automatico, tanto più stupefacente perché il medium scelto da Chiorri è al contrario altamente formalizzato, l’elabrazione computerizzata.

 Una rigida sequenza binaria, di uni e di zeri, che l’artista flette in un’incertezza poetica e drammatica per poi trasferirla dal cuore oscuro del PC all’esterno, fissandola, per unità discrete direbbe il fisico della psiche, su asettici pannelli di plexiglas.

Riccardo Bianchi

storico e critico d’arte AD

 

 

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